PLATO
Andrea Kerbaker

Il 22 di marzo del 2067, un martedì, giorno del suo settantacinquesimo compleanno, il conte Francesco de Lollis stava leggendo nella sua comoda poltrona piena di cuscini, situata nell’angolo più illuminato della Stanza dei Rinoceronti. Era molto immerso nel suo libro, un giallo senza pretese pieno di omicidi efferati, come piaceva a lui; ma ogni tanto alzava lo sguardo per contemplare qualche oggetto a forma di rinoceronte che gli stava attorno.

Quella dei rinoceronti era una mania che gli veniva da lontano: da quando, ventenne, aveva visto al cinema un film allegro di Woody Allen, Midnight in Paris. La storia era ambientata nella Parigi degli anni Venti del Novecento, dove si muovevano Hemingway e Picasso, circondati da un’impressionante tribù di amici artisti. Quello che gli era rimasto più impresso era Salvador Dalí, che, nella parodia di Allen, in ogni discorso menzionava un rinoceronte, anche se totalmente scollegato dal contesto. Il giovane conte de Lollis, incuriosito, aveva studiato, per scoprire che effettivamente Dalí era ossessionato dalla figura di quella bestia, affascinato dalla sua forma primordiale. A sua volta, rimasto succube di una passione analoga, aveva iniziato a collezionare rinoceronti in tutte le salse: dapprima statuette da due soldi, poi – man mano che l’età e le finanze gli avevano permesso spese maggiori – pezzi più impegnativi, fino ad arrivare alle mitiche stampe originali di Dürer e ad alcune costosissime fotografie d’autore.

In una pausa della lettura, stava guardando proprio una di quelle foto quando di colpo suonò il campanello. Ripose il libro e si alzò con un sospiro: sicuramente era sua moglie che aveva scordato le chiavi. Lo aveva sempre fatto, anche da giovane; ma negli ultimi anni le dimenticanze stavano diventando croniche, e preoccupanti. Tornò di buon umore guardando il manoscritto di una poesia italiana di un secolo passato, che qualche anno prima gli aveva regalato una coppia d’amici:

“Sempre caro mi fu quest’ermo corno” pensa il rinoceronte senza nessuno attorno.

Oh, Edoardo, che sorpresa! Il profilo del nipote, altissimo, occupava quasi tutta la porta. E perché non sei a scuola? Il ragazzo lo guardò dall’alto in basso. Sono gli MGT, i martedì di gestione del proprio tempo, nonno. Ti ricordi? Ne avevamo parlato. Ricordava, sì, ma aveva cercato di rimuovere, come sempre con le novità del tempo che non potevano piacergli. Ho capito, e tu gestisci il tuo tempo… Il ragazzo era già entrato nell’appartamento …Facendo gli auguri al nonno, lo interruppe. In mano aveva un pacchettino rosso ben curato.

Mamma mia, che gentile. Quasi un giovanotto d’altri tempi! Lo stupore del conte era sincero. Il nipote aveva già appeso il giaccone invernale nell’armadio dei cappotti e si stava avviando a grandi passi verso la stanza dei rinoceronti. Vuoi qualcosa? Mi spiace che la nonna sia fuori. Il nipote scosse la testa. No, grazie, nonno, ieri sera ho fatto tardi e sono ancora un po’ in hangover. Stava in piedi davanti a una fotografia, il pacchettino in mano. Ecco, questo l’ho proprio comperato pensando alla stanza dei rinoceronti. Glielo porse. Il pacco era stato fatto da mani esperte, chiuso con un’etichetta pretenziosa. “Parlumi antiquariato”… sarai mica diventato matto? Il nipote sorrideva. Ma no, non era così caro, e poi era proprio quello che volevo. Non lo apri? La voce tradiva una certa apprensione. Certo, certo, subito. Con le mani grandi staccò l’etichetta per non rovinare la carta. Dentro, sotto una velina leggera, spuntò una statuina bicolore: uno strano quadrupede liscio liscio, un corno in mezzo alla testa, mezzo nero e mezzo marrone chiaro. Affascinante, senz’altro; e bello, di una manifattura che sentiva mani artigiane. Così disse al nipote, mentre lo soppesava sulle palme, solido e pesante com’era. Da dove proviene? chiese, mentre con una mano accarezzava la superficie liscissima.

Chi me lo ha venduto mi ha detto che lo ha fatto un artista di una cinquantina di anni fa, un italiano, Marco Benedetti. Ma… ti piace davvero? Il nonno non aveva bisogno di mentire per rispondere: davvero il quadrupede aveva una sua grazia particolare. Solo, non mi è chiaro il legame con i rinoceronti, disse alla fine. Vedi nonno, a scuola abbiamo appena fatto Platone e la sua idea platonica delle cose. E io quando ho visto questo ho subito pensato: “Ecco, se esiste un’idea primordiale, assoluta di rinoceronte, non può che essere questa”. E pazienza se il corno anziché davanti è in mezzo alla testa: non è quello, secondo me, semplicemente, in questa stanza dedicata non può mancare.

Il nonno sorrise a tanto entusiasmo. Bene, lo metteremo qui, sentenziò mentre lo posizionava al centro di una mensola di marmo sul caminetto. Hai pensato a un nome? Il ragazzo era visibilmente contento della collocazione. Che ne dici di Plato? propose. Il nonno fece finta di pensarci; in realtà avrebbe accettato qualsiasi idea. Benone: e Plato sia, concluse dopo una ventina di secondi di finta riflessione. Ciao Plato, disse poi rivolto alla statua mentre le grattava il piccolo mento nero. Aveva sul volto un sorriso intenerito; lo stesso che qualche anno più tardi avrebbe avuto quando, guardando la statua sulla mensola dalla sua poltrona dove leggeva un libro avvolto in un grande plaid di lana, chiuse gli occhi e si addormentò per sempre.

Le 22 mars 2067, un mardi, jour de son soixante-quinzième anniversaire, le comte Francesco de Lollis lisait, dans son confortable fauteuil aux nombreux coussins, dans l’angle le mieux éclairé de la Pièce des Rhinocéros. Il était plongé dans la lecture d’un polar sans prétentions plein de crimes atroces, le genre de livre qui lui plaisait mais de temps à autre, il levait les yeux pour contempler l’un des objets en forme de rhinocéros qui l’entouraient.

Sa manie des rhinocéros remontait très loin, depuis que, à l’âge de vingt ans, il avait vu un film très amusant de Woody Allen, Midnight in Paris. L’action se passait dans le Paris des années 1920 du XXème siècle, on y croisait Hemingway et Picasso entourés d’une impressionnante tribu d’amis artistes. Il avait été particulièrement frappé par Salvador Dalì qui, dans cette comédie, mentionnait à tout bout de champ un rhinocéros, même si cela n’avait rien à voir avec le contexte. Le jeune comte de Lollis, intrigué, avait fait des recherches et fini par découvrir que, effectivement, Dalì était obsédé par cet animal, fasciné par sa forme préhistorique. Victime, à son tour, d’une passion analogue, il s’était mis à collectionner des rhinocéros à toutes les sauces : d’abord des statuettes de quatre sous, puis – au fur et à mesure que l’âge et les finances lui avaient permis de plus grosses dépenses – des pièces plus importantes, jusqu’à arriver aux mythiques gravures originales de Dürer et à quelques clichés de photographes auteurs extrêmement coûteux.

Pendant une pause de sa lecture, il regardait justement une de ces photos quand soudain, un coup de sonnette retentit. Il posa son livre et se leva en soupirant : c’était sûrement sa femme qui avait oublié les clefs. Cela lui arrivait souvent même quand elle était jeune, mais ces dernières années, les oublis étaient devenus chroniques et inquiétants. Il retrouva sa bonne humeur en regardant le manuscrit d’un poème italien du siècle dernier, offert par un couple d’amis quelques années auparavant.

“Sempre caro mi fù quest’ermo corno” pensa il rinoceronte senza nessuno attorno.

Oh, Edoardo, quelle surprise ! La haute silhouette de son petit-fils occupait presque toute l’embrasure de la porte. Pourquoi n’es-tu pas en classe ? Le garçon le toisa. Ce sont les MGT, les mardis de gestion du temps personnel, papy. Tu te souviens ? Nous en avions parlé. Oui, il s’en souvenait mais il avait essayé de refouler ce souvenir, comme il le faisait toujours avec les nouveautés qui ne pouvaient pas lui plaire. J’ai compris, et toi, tu gères ton temps personnel… Le garçon était déjà entré dans l’appartement… il interrompit son grand-père en lui adressant ses vœux. Il tenait à la main un élégant petit paquet rouge.

Mon Dieu, comme il est gentil ! C’est presque un jeune homme d’un autre temps ! La stupeur  du comte était sincère. Son petit-fils avait déjà  suspendu son blouson d’hiver dans l’armoire aux manteaux, et il se dirigeait à grands pas vers la pièce des rhinocéros. Tu as besoin de quelque chose ? Je regrette que mamie soit sortie. Son petit-fils secoua la tête. Non, merci, papy, hier soir je suis rentré tard et j’ai encore un peu la gueule de bois. Il se tenait debout devant une photographie, son petit paquet à la main. Voilà, je t’ai acheté ceci  en pensant à la Pièce des Rhinocéros. Il le lui tendit. Le paquet avait été confectionné par des mains expertes, une étiquette prétentieuse le scellait. « Parfums d’antan »… tu n’es pas devenu fou, par hasard ? Son petit-fils souriait. Mais non, ce n’était pas si cher que ça, et puis c’était exactement ce que je voulais. Tu ne l’ouvres pas ? Sa voix trahissait une légère appréhension. Mais oui, mais oui, tout de suite. Avec ses grandes mains, il détacha l’étiquette pour ne pas abîmer le papier. À l’intérieur, sous un papier de soie diaphane, apparut une statuette bicolore : un étrange quadrupède très lisse, une corne au beau milieu de la tête, moitié noire, moitié marron clair. Fascinante, sans nul doute ; et belle, on sentait qu’elle avait été façonnée par les mains d’un artisan. C’est ce qu’il dit à son petit-fils tout en la soupesant entre ses paumes, solide et lourde qu’elle était. D’où vient-elle ? demanda-t-il, pendant qu’une de ses mains caressait la surface merveilleusement polie.

Celui qui me l’a vendue m’a dit qu’elle a été façonnée il y a une cinquantaine d’années par un artiste italien, Marco Benedetti. Mais… elle te plaît vraiment ? Le grand-père n’avait pas besoin de mentir pour répondre : le quadrupède possédait réellement une grâce  particulière. Sauf que, finit-il par avouer, je ne vois pas très bien le rapport avec les rhinocéros. Vois-tu, papy, à l’école nous venons tout juste d’étudier Platon et son idée platonicienne des choses. Et moi, quand j’ai vu  ça, j’ai tout de suite pensé : « Voilà, s’il existe une idée essentielle, absolue, du rhinocéros, ce ne peut être que celle-ci ». Et tant pis si la corne est au milieu de la tête au lieu d’être à l’avant de celle-ci. A mon avis, ce n’est pas ( ???). Simplement, elle ne peut pas être absente de cette pièce dédiée aux rhinocéros.

Le grand-père sourit devant tant d’enthousiasme. Eh bien, nous la mettrons ici, déclara-t-il en la plaçant au centre d’une étagère en marbre au-dessus de la cheminée. Tu as pensé à un nom ? Le jeune homme était visiblement  satisfait de l’emplacement. Que dirais-tu de Plato ? demanda-t-il. Le grand-père fit mine de réfléchir ; en réalité, il aurait accepté n’importe quelle proposition. Parfait : va pour Plato, conclut-il au bout d’une vingtaine de secondes de réflexion feinte. Au revoir, Plato, dit-il ensuite en s’adressant à la statuette, tout en grattant le petit menton noir de celle-ci. Son visage arborait un sourire attendri, le même que, quelques années plus tard, il aurait quand, regardant la statue sur l’étagère au-dessus de la cheminée, depuis le fauteuil où il lisait un livre, enveloppé dans un grand plaid en laine, il ferma les yeux et s’endormit pour toujours.